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mercoledì 13 ottobre 2010

Dentro Roma


Faceva un caldo che non era scirocco e non era arsura, ma era soltanto caldo. Era come una mano di colore data sul venticello, sui muri gialletti della borgata, sui prati, sui carretti, sugli autobus coi grappoli agli sportelli. Una mano di colore ch'era tutta l'allegria e la miseria delle notti d'estate del presente e del passato. L'aria era tirata e ronzante come la pelle d'un tamburo; le pisciate anche appena fatte, che rigavano il marciapiede, erano secche; i mucchi d'immondezza si sfregolavano abbrustoliti e senza più odore. A fare odore erano solo le pietre e i bandoni ancora caldi del sole: magari con attorno distese di stracci bagnati e poi risecchiti dal caldo. Negli orti che ancora restavano qua e là, gonfi di legumi che crescevano soli belli grassi come nel paradiso terrestre, non c'era un goccio di guazza. E nei centri delle borgate, nei bivii, come lì al Tiburtino, la gente s'ammassava, correva, strillava, che pareva d'essere nei bassifondi di Shanghai: pure nei posti più solitari c'era confusione, con file di maschi che andavano in cerca di qualche zoccoletta, fermandosi a far due chiacchiere alle bottegucce dei meccanici ancora aperte, col Rumi di fuori. E passato Tiburtino, ecco Tor dei Schiavi, il Borghetto Prenestino, l'Acqua Bullicante, la Maranella, il Mandrione, Porta Furba, il Quarticciolo, il Quadraro... Altri centinaia di centri come quello lì al Tiburtino: con un mare di gente sotto il semaforo, che mano a mano andava sparpagliandosi nelle strade intorno, rumorose come androni, coi marciapiedi tutti rotti, e lungo ruderi colossali di mura con sotto file di tuguri. E bande di giovanotti che facevano a fugge coi loro motori, Lambrette, Ducati o Mondial, mezzi ubbriachi, con le tute unte aperte sul petto nero, oppure acchittati che parevano usciti da una vetrina di Piazza Vittorio. Tutto un gran accerchiamento intorno a Roma, tra Roma e le campagne intorno intorno, con centinaia di migliaia di vite umane che brulicavano tra i loro lotti, le loro casette di sfrattati o i loro grattacieli. E tutta quella vita, non c'era solo nelle borgate della periferia, ma pure dentro Roma, nel centro della città, magari sotto il Cupolone: sì, proprio sotto il Cupolone, che bastava mettere il naso fuori dal colonnato di Piazza San Pietro, verso Porta Cavalleggeri, e èccheli llì, a gridare, a prender d'aceto, a sfottere, in bande e in ghenghe intorno ai cinemetti, alle pizzerie, sparpagliati poco più in là, in via del Gelsomino, in via della Cava, sugli spiazzi di terra battuta delimitata dai mucchi di rifiuti dove i ragazzini di giorno giocano a palla, in coppie tra le fratte coperte di pezzi di giornale abbandonati tra via delle Fornaci e il Gianicolo... E sotto, passato il traforo gocciolante, ecco tutto uguale, a Piazza della Rovere, dove file di turisti passano a testa alta, tenendosi a braccetto, coi calzoni alla zuava e le scarpe pesanti, cantando canzoni alpine in coro, mentre i giovinastri addossati alla spalletta del Tevere, presso una latrina intasata, coi calzoni a tubbo e gli scarpini a punta, dicendogli dietro con un'espressione annoiata e sarcastica delle parole che se le capissero li farebbero morire di un colpo. E giù per i lungoteveri per dove passano scassati i rari tram sotto le gallerie dei platani, lungo selciati sconnessi, e le lambrette che se la sbroccolano in curva con sopra un giovanotto o due in cerca di rogna; verso Castel Sant'Angelo con ai piedi, sul pelo del fiume, il Ciriola tutto illuminato; verso Piazza del Popolo elegante come un gran teatro, il Pincio, e Villa Borghese, col ronzio dei violini e le sordine alle mignotte, o ai frosci che passano in frotta cantando con le palpebre abbassate e le bocche cascanti "Sentimental", e sbirciando con la coda dell'occhio per vedere se per caso non stesse arrivando il carrettone. Oppure, dalla parte opposta, verso Ponte Sisto, dove, sotto il Funtanone sporco e tutto luccicante, due squadre di giovincelli trasteverini stanno facendo una partita al pallone, urlando di brutto, e correndo come un branco di pecore tra le ruote delle millenove dei ganzi che vanno con la zoccoletta di Cinecittà a cenare all'Antica Pesa: mentre da tutti i vicoletti di Trastevere, lì dietro, giunge il brusio delle mascelle maschili e femminili che masticano la pizza o il crostino, all'aperto, in Piazza Sant'Egidio o al Mattonato, coi ragazzini che fanno la lagna o intorno i pischelli che litigano correndo sui selciati, leggeri come le carte sporche che il venticello trascina qua e là.

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